PAESTUM WINE FEST

Sul giornalismo e sull'editoria del settore vino, in Italia e all'estero, nella concreta visione di Leila Salimbeni

di Valentina Taccone

Vino e giornalismo di settore, una combinazione che incontra nuove frontiere comunicative, entrambe governate da una solida conoscenza della cultura enogastronomica e che, spesso, mette il naso oltrefrontiera per respirare trend, tendenze e confronto. E questo Leila Salimbeni lo sa bene: direttore editoriale di Spirito diVino magazine, giudice ai maggiori concorsi del settore, scrittrice e grande appassionata.

Il suo punto di vista è polidirezionale e offre più livelli di lettura, tutti perfettamente inquadrati nellintervista al blog COMMUNITY sul rapporto binario giornalismoe vino.

1. Giornalismo di settore, in Italia e allestero, guardando ad autorevoli testate americane che continuano a lanciare uscite influenti sui consumatori e sui mercati.

Qual è il suo punto di vista sullo stato dellarte? Quanto ancora c’è da fare in Italia?

Partiamo dal presupposto che giornalismo italiano e giornalismo anglosassone partono da istanze molto diverse. In Gran Bretagna in particolare il giornalismo è il prodotto mediante il quale la società ratifica l’operato politico, diventando a tutti gli effetti uno strumento di potere al servizio delle masse. In Italia, invece, il giornalismo è concepito come un amplificatore di una determinata corrente, cosa acutizzata dal fatto che la condizione di sussistenza dei giornali è a tutti gli effetti determinata dai contributi pubblici. Diverso il modello inglese per cui informare è un business e, come tale, viene moltiplicato in sottogeneri anche discutibili come quello, per dirne uno, scandalistico, che fa della pulsione voyeuristica delle masse precisamente il proprio business. In ogni caso si tratta di un modello efficiente, il cui stato di salute può essere misurata in maniera trasparente mediante il numero delle copie effettivamente vendute da un determinato giornale.

In Italia, invece, i contributi pubblici determinano un curioso scollamento della tiratura, che raramente è proporzionale al numero delle copie vendute il ché getta una luce meno salubre sull’intero universo editoriale nostrano. Tutto questo per dire quindi che i modelli sono radicalmente differenti e che non è corretto parlare della “strada da fare ancora in Italia”, soprattutto per quanto concerne la carta stampata e non fa eccezione, ovviamente, il giornalismo di settore, che per sussistere deve dipendere da finanziamenti privati. Ciò non significa però, attenzione, che in queste condizioni non si possa fare del buon giornalismo: benché il ruolo del giornalista sia stretto tra dinamiche di potere che avviliscono oppure vanificano il suo lavoro, esempi positivi esistono e si ritrovano, a mio avviso, in quotidiani come Il Foglio di Claudio Cerasa oppure, nel mio settore, in Civiltà del Bere che, anche se recentemente costretta ad abdicare alla distribuzione nelle edicole, continua ad offrire ai propri lettori dettagliatissimi approfondimenti e un archivio a dir poco impressionante

2. Editoria e giornalismo di settore, unevoluzione nellambito della comunicazione che continua a crescere catturando linteresse di lettori sempre più attenti e aggiornati. Quali sono gli ambiti tematici e gli argomenti che più interessano i lettori? Quanto è fondamentale rincorrere i trend per stare sulla notizia?

Limitandomi al mondo della carta stampata e, precisamente, al modello che ho sposato su Spirito diVino, posso confermare che il lettore è sensibile alle storie ben narrate, ai reportage inediti dove giornalista e fotografo lavorano di concerto, alle rubriche dal forte impatto grafico come la nostra “Doppia Immagine” e agli approfondimenti sui territori emergenti. Una delle parole chiave del 2024 è stata, per dire, “futuro”: tutte le volte che abbiamo interpellato un territorio o un’azienda in merito al proprio orientamento futuro abbiamo ottenuto attenzione. Piacciono molto anche le interviste purché abbiano, ovviamente, ritmo, e purché si riesca a ricavare informazioni sensibili o anticipazioni importanti su un determinato fenomeno. Quanto ai trend, non sono tenuta a seguirli e ciò rappresenta, dal mio punto di vista, una benedizione: Spirito diVino è un mensile e, come tale, può concedersi il lusso di prescindere da tormentoni e mode del momento. La cosa mi fa pure gioco, dal momento che ho sempre pensato che assecondare i trend significhi essere in balia del vento: significa, per esempio, parlare ora di dealcolati o di prodotti che poco o nulla hanno a che fare col vino, di cui rappresentano anzi la negazione. Per questo preferisco, se mai, ospitare contributi attorno a temi cogenti da parte di esponenti del mondo del pensiero contemporaneo: l’ho fatto con Nicola Perullo, filosofo e rettore dell’Università delle Scienze Gastronomiche di Pollenzo, che interpellai in merito alla questione dei vini naturali; continuo a farlo con Daniele Cernilli che nella sua rubrica “Botte e risposta” solleva riflessioni intelligenti e spesso anche molto concrete attorno allo stato dell’arte del vino contemporaneo.

3. Giornalismo digitale e giornalismo tradizionale (carta stampata). Direttore, dal suo punto di vista, siamo davanti ad unevoluzione tecnologica oppure a due modelli differenti di giornalismo, di comunicazione e di pubblico?

Questa domanda mi consente di fare un’anticipazione importante legata all’imminente digitalizzazione di tutte e tre le testate del gruppo, ovvero Arbiter, Kairos e Spirito diVino. Ebbene, proprio perché crediamo che si tratti di due canali diversi, con necessità editoriali diverse e codici differenti abbiamo scelto di optare per l’internazionalizzazione dei contenuti web del gruppo, che saranno solo in inglese, e saranno indirizzati in particolare a un pubblico internazionale interessato a conoscere o ad approfondire il mondo del vino italiano. Ovviamente, tutto ciò sarà raccontato attraverso la stessa sensibilità, l’approccio sartoriale e lattenzione ai dettagli che da sempre ci riguardano

4. Comunicare il vino, quanto e perché è importante per unazienda essere raccontanti da una testata di settore?

Comunicare e comunicarsi è essenziale perché da questa comunicazione, dal suo stile e dal tono di voce utilizzato può sortire un consolidamento più o meno considerevole della propria identità di brand, e questo senza contare che attraverso la narrazione altrui possano emergere aspetti di sé di cui si può non essere del tutto consci. Ho avuto modo di constatarlo direttamente grazie al docente e designer Luca Fois che recentemente mi ha dato l’opportunità di tenere un webinar per Assoenologi e Aspinext incentrato sul ruolo dello storytelling e del branding per le aziende vitivinicole. Ebbene, durante la mia ricerca è emerso che ogni contributo di natura giornalistica può rafforzare una o più delle valorizzazioni individuate dal grande semiologo Jean Marie Floch – pratica, mitica, ludica e critica – diventando un’occasione preziosa per determinare o comunque influenzare sensibilmente l’immaginario collettivo. Certo, è evidente che tale comunicazione debba essere affidata a giornalisti autorevoli che, assieme al proprio stile narrativo, abbiano anche maturato un proprio punto di vista sullo scibile vitivinicolo; per questo cerco sempre di coinvolgere giornalisti esterni oppure accademici e scrittori conosciuti a livello nazionale come, nel numero di gennaio, ho fatto con Giampaolo Gravina”  

5. Giornalismo e cultura del vino sono due sfere tematiche che devono coesistere necessariamente. Cosa poter consigliare alle aziende per un approccio comunicativo corretto che possa attrarre il lettore?

In generale trovo che la coerenza paghi sempre, anche se, magari, funziona più a lungo che a breve termine. A tal proposito, dal mio punto di vista ogni azienda dovrebbe seguire il modello del frattale,  somigliandosi e reiterandosi sia nel particolare che nel generale. Poi, e l’ho appena nominata, c’è la questione del lungo termine ed è su questa che, in particolare, insisto da tempo, perché sposare politiche di lungo periodo significa essere tendenzialmente delle entità affidabili. Ogni opera realizzata con questo imperativo tende, insomma, a dover essere memorabile, ed è per questo che, credo, il lungo termine dovrebbe diventare l’istanza alla base di qualunque produzione, sia essa vitivinicola, imprenditoriale, giornalistica e, addirittura, anche esistenziale. Chiedo troppo?